giovedì 3 settembre 2009

ALICE E LA GRANDE CITTA’

Il racconto di Simona Tatangelo *

Fra galline, conigli, pecore, cavalli, due cani e un infinità di gatti, Alice ci aveva vissuto sempre a suo agio. Nel casolare di campagna vi abitava, fin dal suo primo giorno di vita, non le era mai stato “stretto”.
I suoi genitori mandavano avanti questa piccola fattoria, anche un pò, grazie al suo aiuto.
La ragazza, infatti, aiutava come poteva sia nei campi piantando e raccogliendo i “frutti” che dava la terra, ma si occupava anche del piccolo zoo preparando le ciotole con mangime o il fieno nelle mangiatoie.
Le fatiche e il sudore non l’avevano mai spaventata, forse, perché fin da piccola aveva vissuto sempre così.
I lavori più pesanti, i suoi genitori, gli e li risparmiavano perché volevano che la loro giovane figlia vivesse un adolescenza come le ragazze della sua età.
Alice nonostante ciò non aveva amici, era un tipo piuttosto solitario.
L’hobby preferito dalle sue compagne di scuola era spettegolare sui vestiti e i ragazzi.
A lei, invece, piaceva leggere libri di fantascienza, ascoltare musica e fare lunghe passeggiate con il suo cavallo.
Il puledro le era stato donato, dentro un gigantesco pacco con un lucente fiocco di seta rosso, per la promozione degli esami di terza media. Da quel giorno erano trascorsi, ormai, quattro lunghi anni, nei quali lei e Scheggia (così lo aveva chiamato) erano diventati inseparabili.
La sua compagna di banco, l’ultimo giorno di scuola, le aveva confidato che la sua vita quell’estate era a una svolta: partecipava ad un concorso di bellezza che l’avrebbe “lanciata” nel mondo dello spettacolo e portata, finalmente, lontano dalla minuscola e provinciale cittadina, Badi, in cui vivevano. La sua compagna le era sembrata troppo sicura di fare subito successo. Alice era stata, comunque, contenta per lei e decise di tenere per sé i pensieri negativi sulla faccenda.
Lei, invece, non aveva progetti, si limitava a trascorrere tranquillamente, un giorno dopo l’altro senza porsi troppi interrogativi. Qualche volta si era scoperta ad immaginarsi una contadina, proprio come i suoi genitori, ma quel pensiero era presto svanito.
Un pomeriggio di luglio, di ritorno da una passeggiata con Scheggia, Alice vide sua madre che, dalla finestra della cucina, la chiamava, in tono agitato.
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Sua zia era una giramondo, aveva visitato i più incredibili posti su tutta la faccia della terra. La cameretta di Alice era tappezzata da più di cinquanta sue cartoline.
Lavorava per una rivista di viaggi e si occupava di fare reportage, insomma viaggiare era il suo mestiere.
Sulla cartolina, che sua madre gli consegnò fra le mani, c’era una veduta di una cittadina che si affacciava sul mare, con case dalle mura dipinte da colori vivacissimi. Dietro la foto lesse i saluti della zia, e l’invito rivolto personalmente a lei perché trascorresse un po’ di tempo nella grande città dove viveva, a Nalimo. Non era la prima volta che riceveva una proposta del genere, solo che le altre volte non l’aveva mai presa seriamente, nonostante i genitori la spingessero a uscire dal suo “isolamento” adolescenziale.
Alice non aveva mai fatto un viaggio di più di 500 km, tanta era la distanza che doveva percorrere. Nella sua vita aveva viaggiato pochissimo e in posti piuttosto vicini a Badi.
I suoi genitori non l’avrebbero potuta accompagnare perché l’estate era il periodo dell’anno in cui avevano più da fare in campagna, si alzavano tutti i giorni alle cinque del mattino.
Lei non aveva amici, che potessero accompagnarla, ma nonostante ciò, dentro di sé stavolta sentiva che doveva affrontare quel viaggio. Il perché non lo riusciva a capire bene, però, era scattata come una molla dentro di sé che le diceva di dover partire. Quel viaggio, forse, era la “svolta” della sua vita, un po’ come il concorso di bellezza per la sua compagna di scuola. Aveva rimandato troppe volte quella decisione cercando tutte le scuse possibili: come avrebbero fatto i genitori senza di lei? E Scheggia, poi, avrebbe sentito troppo la sua mancanza……...
Si armò di coraggio, cercò di non pensarci ci più di tanto, perché altrimenti ogni due minuti cambiava idea. Due giorni dopo, si trovava sul treno diretto verso la grande metropoli.
Alice aveva chiesto a suo padre di prenotargli il posto vicino al finestrino, così da poter scorgere i paesaggi, per distrarsi e non pensare a quello che stava facendo.
Attraversò, in gran velocità, immagini che le sembravano cartoline: da prati verdi con greggi al pascolo a campi dorati, disseminati di rotoli di fieno; da stazioni affollate di turisti a paesini deserti con qualche barbone che si aggirava con il carrello carico di buste.
Finalmente arrivò a Nalimo, la stazione era gigantesca e Alice si sentì subito investita da una miriade di rumori e persone che parlavano in molte lingue diverse. Tutti correvano freneticamente verso le loro destinazioni e c’erano le voci di ambulanti che cercavano di attirare l’attenzione su borse e monili brillanti che esponevano.
La colpì il rumore dello scatto dei tabelloni a ogni variazione oraria di arrivo/partenza dei treni, gli sembrava dettasse il ritmo a tutti quei suoni che l’avvolgevano.
Abituata alla semplicità della campagna, la ragazza non sapeva dove prendere la metropolitana per raggiungere la sede del giornale dove lavorava la zia.
Dopo un primo attimo di panico seppe orientarsi, fra quel labirinto di insegne, e salì per la prima volta su un metrò. Il vagone era super-affollato, con la sua piccola valigia, vi entrò a malapena prima che le porte a tagliola si chiudessero ad un millimetro dalle spalle.
Dopo quattro fermate, che gli sembrarono un’eternità, gocciolava di sudore.
Salì le scale mobili riemergendo all’aria aperta che le stava mancando lì sotto. Apparve davanti ai suoi occhi una piazza immensa in cui troneggiava in tutto il suo splendore il Duomo. Il monumento più importante di Nalimo lo aveva visto sempre in tv, ma dal vivo era un’altra cosa. Respirò a pieni polmoni l’aria, come se le servisse per schiarire anche la vista e osservò meglio l’edificio.
Era ricco di guglie di un bianco così candido da spiccare su tutti i palazzi vicini neri di smog.
Prima di cercare il palazzo del giornale avrebbe potuto farci un giro dentro, in fondo era arrivata col treno mezz’ora prima del previsto.
Alice osservava ancora trasognata il paesaggio che la circondava, si sentiva come “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Era la favola preferita di quand’era bambina, anche perché la protagonista aveva il suo stesso nome. Sua mamma gli leggeva sempre qualche pagina la sera quando non riusciva ad addormentarsi.
Molto probabilmente qualcuno scambiò la sua espressione da ‘sogno ad occhi aperti’ per smarrimento e le si avvicinò.
Era un ragazzo di colore, che portava in mano moltissimi braccialetti intrecciati dei più svariati colori. Gli chiese se era la prima volta che stava lì, anche se la risposta era scontata, gli si leggeva in maniera evidente in faccia!
Lui per tutta risposta cominciò ad elogiare la città: <>.
Alice abbozzava un mezzo sorriso, quello sconosciuto la stava facendo vergognare come una “ladra” solo perché aveva viaggiato poco in tutta la sua vita.
Poi ad un a certo punto si avvicinò un altro ragazzo, che la guardava con un fare minaccioso, Alice ebbe la sensazione che se la volesse “mangiare” con gli occhi!
Il primo ragazzo, quello più amichevole, non diede molto peso al nuovo arrivato e continuò a parlare tranquillamente con lei descrivendogli la città.
La ragazza voleva fuggire, da quella strana situazione, ma non sapeva come fare e così disse la prima cosa che le venne in mente: <>.
I due ambulanti non seppero che rispondere, l’aveva colti in fallo, dissero che non c’erano mai stati dentro perché la loro religione gli e lo impediva.
Alice né approfitto prendendo la palla al balzo, cercò di allontanarsi dai due con la scusa di entrare nel Duomo, perché lei poteva farlo. Il ragazzo più buono volle per forza regalarle uno dei suoi braccialetti, legandoglielo personalmente al polso.
Alice ringraziò il giovane ambulante, un po’ imbarazzata, e si avviò verso le gigantesche e pesanti porte di ingresso.
L’ambulante “diabolico”, da dietro le sue spalle, gli urlava che l’avrebbe aspettata fuori per farsi descrivere l’edificio. Alle sue orecchie quelle parole suonarono come una minaccia, così Alice corse ancora di più. Si augurava che i due si sarebbero “attaccati” a qualche altro turista dimenticandosi di lei.
Dentro il Duomo la temperatura era veramente gradevole, file di turisti si accalcavano per osservare in prima fila i numerosi affreschi e quadri che adornavano gli altari.
Era tutto così straordinariamente grande per lei. Il brusio delle voci della gente era incessante, come un sottofondo ineliminabile allo stupore che stava provando in quel momento e che, come il solito, gli si leggeva in faccia.
Uscì un po’ controvoglia, aveva avuto la sensazione, varcando l’ingresso dell’edificio, di fare un viaggio nel passato. Ora era finito e tornava alla dura realtà del presente dove l’attendevano due tipi, specialmente uno, non tanto raccomandabili.
Guardò l’orologio e parlò ad alta voce rivolgendosi a se stessa: <>.
Attraversò la piazza correndo, ma dietro le sue spalle sentì improvvisamente una voce familiare che diceva: <>.
Alice si voltò e vide uno dei due ambulanti di prima, quello con la faccia diabolica, che a grandi passi la raggiungeva.
La ragazza accellerò il passo facendo finta di non sentire, quando non guardando più avanti a sé, sbatté contro qualcuno e cadde con il sedere per terra.
Ancora prima di guardare con chi si era imbattuta, un po’ stordita, farfugliava delle scuse.
Sentì qualcuno che la chiamava per nome, ma…….. era sua zia Isa!
La donna gli diede la mano per aiutarla ad alzarsi e sua nipote, ancora tremante di paura, gli cadde fra le braccia. Gli raccontò tutto e la zia la rassicurò stringendola ancora più forte a sé: <>.
Gli altri giorni del soggiorno furono tranquilli, vide molti monumenti, fu coccolata e “scortata” sempre dalla sua zietta.
Alice dopo una settimana tornò nel suo paesino. Appena arrivata alla stazione di Badi, ebbe la sensazione che tutto era più piccolo di quello che ricordava alla sua partenza. I genitori la salutarono così calorosamente, che gli altri passeggeri, si voltarono per vedere chi facesse così tanto baccano.
Appena tornata a casa Alice si buttò sul letto della sua cameretta, fra le cose che gli erano più familiari, si guardò il polso dove ancora era legato saldamente il braccialetto colorato.
Ora pensava un po’ sorridendo alla piccola avventura capitata all’arrivata nella grande metropoli. Quell’incontro con i due ambulanti l’aveva fatta pensare, forse era vero, era stata troppo ferma in un posto, viaggiare gli avrebbe aperto la mente. Le era sempre piaciuto il suo carattere, ora invece le sembrava troppo ingenuo e sprovveduto. Che cosa sarebbe successo se la zia non si fosse materializzata davanti a lei in quel momento? Rabbrividì a quel pensiero, l’opinione su se stessa, improvvisamente, era diventata negativa. Ricacciò indietro quei pensieri, ormai, mancavano pochi giorni all’inizio della scuola e doveva sforzarsi di pensare solo a quello....... ma non ci riusciva.
Cosa avrebbe fatto dopo la scuola? Aveva ancora un anno intero per pensarci ma per la prima volta fu assalita da un senso di angoscia.
Sua zia le aveva detto un giorno, mentre stavano gustando, la specialità di Nalimo, gnocchi al rosmarino e zenzero: << Perché non ti trasferisci qui e ti cerchi un lavoro o magari frequenti l’Università?>>.
Mancò poco che un boccone non gli andasse di traverso, Alice non seppe che rispondere. Quel viaggio per la prima volta nella sua vita l’aveva fatta riflettere seriamente sul futuro e su se stessa.
La ragazza andò nella stalla a salutare Scheggia. Mentre guardava il suo puledro, che gli faceva mille feste, pensò che non era più sicura di voler rimanere nel suo piccolo paesino. Sarebbe riuscita a fare le valigie fra un anno? Infondo gli sarebbero mancati solo i suoi genitori, il casolare e naturalmente il suo cavallo.
Il paese delle meraviglie di Alice forse era cambiato, non era più Badi.

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